Honeypot, difendersi dai cyber attacchi con un “barattolo di miele”

Gli Honeypot (letteralmente “barattoli di miele”) sono sistemi hardware o software usati come “esca” per attirare i cyber criminali, studiarne le mosse e capirne in anticipo le intenzioni in modo da attivare le giuste contromisure per rispondere ad un eventuale attacco informatico.

L’utilizzo degli honeypot è una tecnica di difesa attiva definita anche come Cyber Deception con la quale si cerca di “ingannare” l’avversario affinché colpisca il perimetro cyber della nostra organizzazione in un punto preciso in cui vogliamo che ciò avvenga per farlo uscire allo scoperto e tenerlo quindi alla larga dal vero obbiettivo che ci preme difendere.

La “trappola al miele” è un trucco molto usato in ambito intelligence. Le storie di spionaggio sono piene di casi in cui uomini restano affascinati dall’avvenenza di una bellissima donna, rivelatasi poi una spia…

Oggi, sotto una veste informatica, vengono utilizzati dalle polizie di tutto il mondo per scovare criminali, cogliendoli in flagrante. Creare appositamente link che rimandano a siti pedopornografici è una tecnica utilizzata da FBI e da molte altre polizie per scovare i pedofili. È noto che si impiegano honeypot anche per indagare sui siti di streaming e sulle piattaforme di file sharing illegali, così come per scovare gruppi terroristici.

Gli honeypot  contengono, apparentemente, informazioni sensibili che l’attaccante dovrebbe trovare interessanti. In realtà, invece, sono isolati dal resto della rete aziendale e privi di qualunque informazione veramente critica.

Gli honeypot sono progettati per avere le sembianze di sistemi nei quali un hacker è invogliato ad entrare, ma non concedono l’accesso all’intera rete. Se l’honeypot è ben realizzato, l’intruso non si rende conto di essere osservato nella sua attività.

Rientrano quindi a pieno titolo tra gli strumenti di Intrusion Detection System (IDS) che permettono di eseguire un monitoraggio continuo della sicurezza allo scopo di identificare – in anticipo – tutti gli attacchi alle reti informatiche e ai computer ad esse connessi, capire dove l’attaccante potrà colpire e avere così il tempo di attivare le giuste contromisure.

Molti degli honeypot vengono installati all’interno di firewall in maniera tale da poter essere maggiormente controllati. In questo caso, il firewall viene utilizzato al contrario rispetto al solito: invece di monitorare e porre vincoli al traffico entrante dall’esterno nel sistema, lascia entrare di tutto ma controlla poi il traffico uscente.

In questo traffico in uscita potrebbe, per esempio, scoprirsi il collegamento ad un server C&C (Command e Control) usato dagli attaccanti per comunicare con il malware infiltrato nel sistema attaccato. Questo sarebbe un evidente IOC o Indicatore di Compromissione (dall’inglese “Indicator of compromise”) che ci darà informazioni utili sull’attaccante, per bloccarlo o anche per compiere azioni più forti di “active defense”.

L’uso di questi strumenti è dunque molto variegato: una delle peculiarità degli honeypot è la loro flessibilità nelle possibili configurazioni. Infatti, tra gli scopi dell’honeypot ci sono:

  • prevenzione degli attacchi;
  • riconoscimento degli attacchi;
  • risposta agli attacchi;
  • ricerca e individuazione di nuovi tipi di attacco: collezionando nuove minacce, possiamo studiarle per migliorare i controlli di sicurezza o studiare come rimuoverli;
  • osservazione dell’attaccante mentre viola il sistema e quindi identificazione di potenziali debolezze che andranno corrette;
  • colpire l’attaccante.

Gli honeypot, inoltre, si suddividono in due principali categorie:

  • a bassa interazione
  • ad alta interazione

Questa differenziazione, come è facile intuire, dipende dalla maggiore o minore interazione che l’attaccante può avere con questa “trappola”.

Esistono inoltre due possibili modalità d’implementazione di un honeypot:

  • honeypot fisico: si tratta di un computer autonomo, collegato con un proprio indirizzo IP in una rete;
  • honeypot virtuale: si tratta di un sistema logico, a cui vengono assegnate le risorse di un computer fisico attraverso un software di virtualizzazione.

L’honeypot può essere realizzato per simulare un’applicazione server che mette a disposizione dei servizi di rete, che l’attaccante cercherà di violare (si parla di “honeypot lato server”).

In alternativa può essere configurato “lato client”: può essere un programma che utilizza servizi web, oppure un browser che visita appositamente pagine non sicure per raccogliere dati relativi alla sua sicurezza ed alla ricerca di codici malevoli presenti in rete. Se viene esposto ed attaccato, dall’analisi dei dati sarà possibile raccogliere informazioni relative alle vulnerabilità e migliorare a posteriori il software.

In questo link si trova il testo completo dell’articolo “Honeypot, difendersi dai cyber attacchi con un “barattolo di miele”: ecco come”, scritto per CYBERSECURITY360, la testata del Network Digital 360 specializzata nella Cybersecurity, con la quale collaboro sin dalla sua nascita.


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